Il pessimismo che permea tutta la concezione che Luigi Pirandello ha della vita si fonda su un’originale visuale dell’esistenza umana. L’uomo è costretto a vivere condizionato dal suo ambiente, dalle sue abitudini, dalla sua educazione. L’individuo deve controllare i suoi interessi, dominare i suoi impulsi e i propri desideri fino a vivere interpretando una parte che gli è stata assegnata e che egli stesso si è assegnata. Se cerca di uscire da questa finzione l’uomo si trova in un’altra realtà diversa dalla prima, ma ugualmente fittizia e del tutto falsa. L’uomo è costretto ad assumere una maschera dietro la quale deve nascondere, a volte anche a se stesso, la sua propria identità. Identità che in sostanza muta di momento in momento, per cui l’individuo mentre non può essere compreso dagli altri per quello che è effettivamente, a prescindere dalle apparenze, non può essere compreso nemmeno da se stesso. Infatti ciascuno di noi, secondo il Pirandello, mentre mostra una certa personalità, successivamente si trova ad agire in modo da assumere una personalità del tutto diversa da quella precedente. Ognuno finisce con il perdere quindi una propria individualità e ne assume tante per quante sono le persone con le quali viene a contatto. Da questa concezione deriva il problema dell’incomunicabilità e dell’incomprensibilità che angustia l’essere umano, tormenta l’esistenza. La perenne insoddisfazione dell’individuo per la vita meschina che è costretto a sopportare è un altro dei temi che il Pirandello ha sviluppato nei suoi romanzi, nelle sue novelle e nel suo teatro. L’uomo cerca di sfuggire una vita angusta e priva di soddisfazione, ma questo rifiuto della vita, di una certa vita è esso stesso amore per la vita, per una vita che ognuno cerca affannosamente di costruirsi ma invano. Il tentativo di evasione di Mattia Pascal fallisce in pieno e lo ricaccia in una nuova situazione mutata in peggio, in cui egli si ritrova senza la sua famiglia, senza i suoi amici, senza i suoi affetti. Il dramma dell’uomo è quello di non poter avere una propria individualità, perché ognuno diventa nessuno per se stesso e centomila per gli altri, uno sconosciuto quindi per se e per gli altri.
La visione della vita che il Pirandello ebbe e che ispirò le vicende dei suoi personaggi è compendiata in questo pensiero dello stesso Pirandello: “Io penso che la vita è una molto triste buffonata; perché abbiamo in noi, senza sapere, né conoscere né perché né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi, con la spontanea creazione di una realtà, una per ciascuno e non mai la stessa per tutti, la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria”.
Di fronte alle concezioni del Pirandello la critica è stata molto divisa. Alcuni da esse hanno fatto scaturire un sistema filosofico che è espressione dell’angoscia dell’uomo moderno e del suo mondo. Altri hanno tolto ogni valore a quelle idee e, tra tutti, il Croce vede nell’ideologia del Pirandello “espressioni di uno stato d’animo scettico, pessimistico, desolato, esasperato, di un uomo che si sente avvolto in tenebre non diradabili e vede cedere e sfuggirgli ogni punto sul quale tenta, o potrebbe tentare di appoggiarsi”.
Sin dal suo primo sguardo di artista sul mondo, Pirandello è costretto a vedere qual è la triste realtà, deve prendere atto del contrasto insuperabile tra l’apparenza delle cose e l’essenza di ognuno di noi. In questa fase artistica il giovane Pirandello subisce più che mai l’influsso verista, sia del Verga che del Capuana e non è insensibile al fascino del naturalismo dello Zola. Ce ne danno una conferma le sue prime opere, non solo le novelle di Amori senza amore e quelle di Quando ero matto, ma anche i romanzi come L’esclusa e Il turno. Già in queste opere si avverte la pessimistica concezione della vita. L’autore scruta nell’esistenza dei suoi personaggi e non trova che angoscia. I rapporti umani sono dominati dall’ipocrisia e caratterizzati dalle convenzioni sociali che falsano la vera natura di ognuno, che costringono ogni individuo a trasformare continuamente il proprio io adeguandolo di volta in volta alle varie circostanze.
A differenza dei personaggi verghiani quelli del Pirandello fanno parte del mondo borghese. L’autore non sceglie i protagonisti dei suoi lavori tra i derelitti e gli umili come fa il Verga, ma prende a modello gli uomini della borghesia, che tutti possiamo sentire appartenere al nostro mondo. Essi sono il professore di scuola, il medico o l’avvocato di provincia, personaggi che non brillano, senza infamia e senza lode, potremmo dire. Sono immersi nelle loro abitudini, nel loro tran-tran quotidiano, trascinati dal loro destino a cui cercano di ribellarsi, tentando con tutte le loro forze una vita più libera e che più assecondi e soddisfi la loro vera natura. A differenza dei personaggi del Verga, che appaiono rassegnati alla loro sorte, quelli del Pirandello anelano continuamente a liberarsi dai legami che la società e le convenzioni hanno loro imposto e nella lotta impari che ne deriva sta la loro sofferenza, che è fatta di insoddisfazione e di frustrazioni. L’uomo avverte tutta la meschinità della propria vita quotidiana, lotta per rompere quel cerchio che lo chiude e lo soffoca, ma invano. Cerca allora di spiegarsi le ragioni di questa triste sorte. L’autore cerca quindi di capire il perché di questo contrasto tra le apparenze e la realtà e indaga sull’uomo, ma soprattutto sulla sua coscienza, sulla sua anima. E scopre che l’individuo odia la vita monotona che conduce e aspira a una vita più vera, più piena e perciò più soddisfacente.
Vede che l’uomo si trascina rassegnato giorno dopo giorno, anela a uscire dal cerchio delle convenzioni, a liberarsi dalla schiavitù dei comportamenti imposti, ma non ci riesce.