Dopo otto mesi dall’improvvisa alleanza nata in piena campagna elettorale, Azione e Italia Viva hanno rinunciato a formare un unico partito: e intanto si danno le colpe a vicenda
A otto mesi dalla sua nascita l’alleanza tra i partiti di centro Azione e Italia Viva, che si faceva chiamare “Terzo Polo” ed era stata presentata non come un cartello elettorale ma come l’inizio di un percorso verso la fondazione di un unico partito, sembra essere finita. Il leader di Azione, Carlo Calenda, ha annunciato in un video di quasi 4 minuti che i due partiti non sono riusciti a trovare un accordo per fondersi. La rinuncia è arrivata dopo giorni di accuse e duri attacchi reciproci tra i membri dei due partiti e in particolare tra i loro leader, Calenda e Matteo Renzi. Il progetto del partito unico con Italia Viva è naufragato per la semplice ragione che Renzi ha ripreso direttamente in mano IV due mesi fa e non vuole rinunciarvi. Legittimo anche se contrario alle promesse elettorali. Amen.
I recenti scontri hanno mostrato tutti i problemi di un’alleanza nata più per necessità che per convinzione, e che fin da subito era sembrata fondarsi su una serie di contraddizioni. Pur essendo quasi completamente sovrapponibili sul piano ideologico, Azione e Italia Viva si erano alleate soprattutto per ragioni legate al funzionamento della legge elettorale, dopo che a lungo avevano escluso la possibilità di farlo. Un altro elemento delicato era rappresentato dalla struttura dei due partiti, entrambi incentrati sul carisma e il consenso personale dei due fondatori, Calenda e Renzi, che per formare un partito unico avrebbero dovuto necessariamente rinunciare a parte delle proprie leadership.
L’ultimo tentativo di lavorare a un accordo sul partito unico, poi fallito, è stato un’assemblea dei principali dirigenti di Azione e Italia Viva che si è tenuta mercoledì sera. Era stata chiamata “comitato politico del Terzo Polo” e aveva l’obiettivo di stabilire i tempi e i modi della fusione, ma di fatto non si sono nemmeno poste le basi per una discussione. A presiedere la riunione c’era Calenda, mentre Renzi non faceva parte del gruppo di lavoro. L’incontro è avvenuto al culmine di una settimana di rapporti molto tesi fra i due partiti, che per giorni si erano scambiati sui giornali accuse di non voler concretizzare il progetto del partito unico. Le polemiche erano iniziate dopo che lunedì sera Azione aveva pubblicato la sua proposta, dicendo di averla inviata a Renzi e che quest’ultimo l’aveva respinta. Da quel momento è cominciata una serie di attacchi incrociati anche piuttosto duri, nella maggior parte dei casi diffusi attraverso i “retroscena” usciti sui giornali: cioè articoli che ricostruiscono un po’ liberamente umori, intenzioni e dichiarazioni dei politici che non sono state rese pubbliche e che il giornalista avrebbe scoperto tramite voci più o meno verificate, o in via confidenziale.
I punti su cui i partiti non sono riusciti a mettersi d’accordo sono diversi, ma due in particolare sembrano più importanti di altri. Il primo: Italia Viva si era rifiutata di sciogliersi prima che fosse stato eletto il segretario del nuovo partito. Secondo le ricostruzioni dei giornali, Italia Viva avrebbe voluto sfruttare il suo maggior radicamento sul territorio e la sua capacità di attrarre iscritti al nuovo partito per avere un peso maggiore nell’elezione del nuovo segretario, che sarebbe stato votato proprio dagli iscritti; e solo a quel punto si sarebbe sciolta. A questo si sarebbe legato anche il fatto che Azione aveva chiesto a Italia Viva di rinunciare all’organizzazione dell’evento politico chiamato “Leopolda”, che Renzi organizza da anni a Firenze per rinsaldare il rapporto con i suoi sostenitori: un incontro pubblico che avrebbe messo al centro solo Italia Viva, e che per questo era fortemente contestato da Azione.
Il secondo punto riguardava i fondi del nuovo partito: Azione proponeva che entrambi i partiti contribuissero alle sue casse con il 70 per cento dei soldi che avrebbero ricevuto in autunno dal “2 per mille”, il contributo che i cittadini possono versare volontariamente ai partiti attraverso le dichiarazioni dei redditi. Italia Viva temeva che in questo modo avrebbe avuto un esborso economico maggiore rispetto ad Azione, e aveva chiesto che tutte le spese da sostenere fossero divise a metà, come avvenuto finora.
Tra i due, insomma, Italia Viva sembrava voler mantenere una maggiore autonomia anche una volta formato il nuovo partito, mentre Azione avrebbe voluto una fusione più netta e al termine della quale scomparissero divisioni e differenze tra le due organizzazioni di partenza. Che questa fosse un’aspirazione troppo ambiziosa, però, si poteva probabilmente intuire da come era andata l’alleanza in questi otto mesi.
I problemi più grossi però riguarderanno il parlamento: nessuno dei due partiti da solo ha abbastanza deputati e senatori per formare gruppi parlamentari indipendenti alla Camera e al Senato. Se dovessero dividersi anche in parlamento, allo stato attuale i membri di Azione e Italia Viva confluirebbero nel Gruppo Misto, perdendo gran parte dei loro fondi e della loro rilevanza (già piuttosto contenuta, trattandosi del terzo gruppo di opposizione per numero di parlamentari).