di asterisco
È questa la sensazione che suscita il recente film di Roberto Andò, in programmazione nelle sale cinematografiche. Un coacervo di fatti storici elaborati alla maniera, che però non hanno nulla da spartire con la grande e irripetibile tradizione cinematografica italiana, in particolare con quella legata alla creatività di maestri del cinema come Monicelli, Fellini, Francesco Rosi e Sergio Leone. Maestri che sapevano leggere la storia d’importanti avvenimenti accaduti nel nostro Paese attraverso angolature inedite e originali riuscendo a trasmettere un messaggio alla portata di tutti per la sua immediatezza non solo visiva ma concettuale, al di fuori degli effetti speciali e caratterizzazioni stereotipate di attori più o meno noti, che oggi sembrano siano divenuti l’asse portante su cui ruota la sceneggiatura filmogràfica.
La complessità degli eventi che riguardano la storia del nostro Risorgimento e la sua interpretazione oggettiva richiede un’attenta e scrupolosa ricerca delle fonti. Un singolo episodio per quanto articolato e dilatato a dismisura sembra a sua volta costituire lo spunto per una macchiettista e pura fiction che con la storia non ha nulla da spartire.
Il tutto ruota intorno alla figura storica del protagonista principale, interpretato da Tony Servillo, il Colonnello Vincenzo Giordano Orsini, palermitano ex ufficiale borbonico passato nelle file dei garibaldini, e due figure inventate di sana pianta interpretate dal duo comico Ficarra e Picone, personaggi ambigui che si arruolano nei garibaldini a Quarto e indossano la camicia rossa con l’intento di ritornare nella loro terra d’origine, ma nei primi scontri armati disertano e tentano di raggiungere il loro paese tra peripezie varie per finire poi nuovamente tra i garibaldini e in quanto disertori, costretti a partecipare a una pericolosa azione militare diversiva e ingannevole, condotta dal Colonnello Orsini, che costringe il grosso delle truppe borboniche a seguirli mentre Garibaldi ha la strada libera per entrare da trionfatore in Palermo. I due disertori invece si riscattano offrendosi come ostaggi, riuscendo a evitare che le truppe lealiste mettano a ferro e fuoco il borgo in cui si erano rifugiati i garibaldini feriti. negli scontri. Il finale è pura fantasia e invenzione scenica richiesta dall’arzigogolata trama del film.
Non è sufficiente la scenografia spettacolare messa in opera che diventa un puro espediente all’insegna del dire e non dire, tra spunti con enfasi alla Edmondo De Amicis, come la scena dell’arruolamento a Quarto nelle fila dei garibaldini di un ragazzino di undici anni sospinto dall’entusiasmo patriottico del babbo che più avanti cadrà in uno scontro a fuoco davanti agli occhi del figliolo. I Mille sulle barche in attesa dei piroscafi su cui imbarcarsi e dell’arrivo del biondo generale intabarrato nel suo poncho, danno piuttosto l’idea di un’armata di monicelliana memoria, così come lo sbarco farsesco a Marsala sotto il cannoneggiamento della marina borbonica.
La narrazione procede in maniera fantasiosa tra scenari mastodontici di scontri armati fra le truppe regolari dell’esercito borbonico e batterie d’artiglieria schierate come da manuale, mentre dalla parte opposta turbe disordinate di garibaldini muovono all’attacco trascinandosi dietro alla meno peggio qualche pezzo d’artiglieria.
Alle scene dei combattimenti seguono poi spunti scenografici intenzionalmente da collocare tra i fabliaux medioevali o addirittura le novelle del Boccaccio, come le scene nel convento di monache dove si erano rifugiati i due disertori.
In definitiva una totale mancanza dell’effettiva realtà e concatenazione storica dei fatti narrati, nonostante le immagini finali delle lapidi che paiono ribadire la prosopopea risorgimentale ufficiale, e a voler essere benevoli equivale a: ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale! Un semplice abbaglio, appunto!