Siamo sommersi da una marea di sigle ed acronimi in una società che viene sempre più informatizzata. Diversamente da quel che accade da sempre nella politica dove le sigle servivano ad identificare un determinato partito nella sua rappresentanza parlamentare e nel nostro paese sono sempre state numerose e variegate data l’organica ed endemica frammentazione delle formazioni siano esse di destra, di centro o di sinistra.
Il paradosso nella nostra storia parlamentare è che, pur volendo mantenere le proprie identità, nella realtà dei fatti i vari partiti hanno creato solo delle ammucchiate, la cui sintomatologia rientra in una particolare sindrome che potrebbe a ragione definirsi del partito unico ed ha già mietuto vittime illustri nella storia della Repubblica Italiana.
Oggi leggiamo sui giornali del proposito della compagine di governo di creare un partito unico dei conservatori (PUC), chiari sintomi della sindrome sopra citata, che infetta i palazzi del potere politico con i suoi miasmi anticostituzionali.
Ai nostri rappresentanti ci vien voglia di chiedere a quale identità si riferiscono, ammesso che ne abbiano una, e la genesi storica di essa. Non basta il termine di conservatori, occorre dire anche conservatori di che cosa: della fiamma tricolore? Di essere nati sulle sponde del grande fiume padano? Di appartenere al paese che un certo imprenditore amava?
Applicando il concetto matematico di identità come uguaglianza sempre verificata per qualunque valore delle variabili che in essa figurano le cose non tornano affatto fra i nostri politici per i quali vige la ferrea regola che la mano destra non sa quello che fa la sinistra e le parole (autonomie, presidenzialismo ecc.) dietro cui si nascondono ci riportano al significato medico del termine sindrome: insieme caratteristico di sintomi che manifestano delle vere patologie al di là dell’eziologia che le caratterizza. Siamo sicuri che la classe politica italiana possa guarire da una siffatta sindrome e che l’effetto degenerativo non sia oramai irreversibile?