Si è estinta la rabbia sociale. Si dispensa dalle visite, graditi post e like

Questa fase storica conta un illustre assente: la rabbia sociale. I tentativi di denunciarne l’esistenza ravvisandola in una minaccia via social sono tanto ridicoli quanto inefficaci. Quella non è rabbia sociale, ma un tipo di rabbia personale, individuale, che esaurisce le sue potenzialità in un post. Questo, per quanto raccapricciante, rimane un post e un post, per quanto, appunto, violento, non ha mai fatto male a nessuno. E’ ancora meno pericoloso di una carica, di una revolverata se non di una strage.

E se anche fosse rabbia sociale, la sua caratteristica intrinseca della virtualità, la riconsegna al livello di un videogioco.

Non che si sia soddisfatti di come si vive, per niente, ma si tratta al più di un noioso vociare, talvolta assordante, ma assolutamente vuoto di sostanza. Ci si lamenta, anche troppo, ma solo perché l’abbondanza di qualche anno fa sta svanendo.

Il fatto che non esista rabbia sociale, però, è un fenomeno che andrebbe approfondito: forse, alla fin fine, il livello generale di vita è agiato. A nessuno manca da mangiare, men che meno da bere, anzi, e la droga, nelle sue decine e decine di declinazioni, non manca, e dio solo sa quanto costi.

Dicono che il livello di povertà assoluto sia in forte incremento, che le mense sociali siano sempre più affollate, sì, può essere, perbacco, se lo dicono sarà così, ma niente che scuota il sistema nervoso di nessuno. Non dei sindacati, non dei partiti sedicenti più sensibili verso il disagio, non delle sentinelle o delle spie del sistema.

Le guerre, sempre più vicine, sono oggetto di amene discussioni tal quale una partita di calcio, il finanziamento degli armamenti non scuote più di tanto i pacifisti e un carico fiscale ignobile non produce neanche indignazione. Sì, si cerca di evadere in ogni maniera, ma anche nei confronti di questo fenomeno, molto italiano, nessuno si strappa i capelli.

Viviamo come in uno stato paragonabile al broncio che un bimbo straviziato mostra ai genitori per una lieve contrattura delle spese per i suoi regali natalizi. La sensazione, insomma, è che sia davvero tutto virtuale: il disagio, la povertà, la democrazia, il lavoro, il divertimento, l’amore, la violenza, il bullismo, la malattia, il sapere e via discorrendo.

Si avverte un forte distacco fra i sentimenti e gli individui, fra le passioni e l’esistenza, sempre più omologata, fra la cultura e gli intellettuali. Virtualmente tutti sono tutto, facile inventarsi, via web, psicologi, amici, competenti, esperti e, anche questa volta, via discorrendo.

Sarei dell’avviso che una forma di rabbia sociale sia sempre e comunque fisiologica, però, e che quindi la sua mancanza sia piuttosto il frutto di una sorta di anestesia generale praticata su vasta scala. In pochi, anzi pochissimi, avvertono il travaglio di scelte fondamentali, in pochissimi vivono la loro vita con la consapevolezza che è una soltanto e che varrebbe la pena viverla a fondo, con tutti e cinque i sensi, con la testa e con l’istinto, con il ragionamento e con l’intuizione, in un costante sforzo di messa personale alla prova, con gli stimoli per superarsi, migliorare, scoprire nuove frontiere personali.

Lo sforzo, quando c’è, è teso solo al raggiungimento di un presunto benessere economico, giammai spirituale. Poveri dentro, ecco, avremmo bisogno tutti di andare alla mensa dello spirito per provare ad alimentare un’anima da decenni riposta nel cassetto e tirata fuori solo per commuoverci se l’allenatore del Giappone si profonde in un inchino, giammai capaci di pensare di farlo noi un inchino al nostro vicino, a chi ci prepara il caffè e a chi ha un pensiero per un altro.

-Scusami, ma non credi di esagerare? Cavolo, quanto sei pessimista. Ora chi la sente la lettrice di passaggio che tutto accetta meno che le si dica che ha dimenticato l’anima nel cassetto?

-Ma, non so, dipende, a proposito lo sai che il Marocco è in semifinale?

-Diavolo di un terzo mondo! Non si rispettano più le gerarchie. Noi fuori dai mondiali e il Marocco in semifinale. Che dire? Non c’è più religione.

-Hai ragione. Però a me fanno tanta simpatia.

-Tenerone. Però poi se chiedono asilo li fai aspettare sotto la pioggia per avere il visto, davanti alla questura.

-Ma che c’entra?

-Niente, era per dire.

Ah, ecco, per dire.

Luciano Petrullo
Luciano Petrullo
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