Avete presente le pellicole di plastica trasparente che servono a confezionare gli alimenti? Quelle pellicole hanno la doppia funzione di lasciar ispezionare lo stato di conservazione del prodotto e di preservarne più a lungo la freschezza cosicché da ridurre tutta una serie di comportamenti che altrimenti andrebbero a incidere negativamente sull’ambiente.
Ecco, oggi, il nostro pianeta in una certa misura si trova in una situazione analoga: è avvolto da una pellicola trasparente che permette ancora di osservarlo ma non ne garantisce più la freschezza. Anzi.
Da tempo, si sa, i satelliti sono le migliori sentinelle per controllare il nostro pianeta. Attraverso di essi, ad esempio, è possibile monitorare la quantità di anidride carbonica presente nell’atmosfera. Proprio quella pellicola di gas serra che lo avvolge in massima parte e che ne ha stravolto quindi la…ritmica climatica.
Negli ultimi 63 anni, ogni giorno, la concentrazione atmosferica di CO2 è stata misurata a Mauna Loa nelle Hawaii con una tecnica messa a punto negli anni ’50 del secolo scorso da Charles David Keeling: il chimico statunitense confrontava l’assorbimento della radiazione infrarossa tra campioni atmosferici reali e campioni creati appositamente con concentrazioni note di CO2.
Il risultato è uno dei grafici diventati più famosi nella scienza e noto, appunto, come curva di Keeling che è il tratto più scuro nel grafico sottostante dove viene riportato l’andamento della concentrazione di CO2 nel corso degli anni. La ricostruzione della parte antecedente alla curva di Keeling è stata effettuata grazie ai rilievi di bolle di aria incapsulate nei ghiacciai terrestri che rappresentano una sorta di capsula del tempo.

Oggi misuriamo un picco di concentrazione della CO2 nell’atmosfera superiore alle 400 parti per milione con un aumento del 30% rispetto alla prime misurazioni effettuate da Keeling.
Con i satelliti è possibile effettuare questo tipo di misurazione molto più rapidamente e soprattutto possiamo essere in grado di stabilire dove e da chi è stata prodotta l’emissione di anidride carbonica.
Possiamo per esempio capire meglio quando e quanto inquini un’acciaieria, utilizzando satelliti muniti di sensori nell’infrarosso e misurando il calore emesso durante la lavorazione. Possiamo misurare le perdite di metano (altro gas serra che insieme alla CO2 provoca il riscaldamento globale) dai gasdotti o dai pozzi petroliferi. E coprendo vaste aree, grazie anche alle alte risoluzioni dei sensori, possiamo monitorare le discariche a cielo aperto di rifiuti plastici che vanno degradandosi nel tempo: la pellicola di plastica che avvolge la Terra non è solo una immagine metaforica, visto il gran numero di imballaggi alimentari presenti in queste discariche.
Recentemente l’associazione no profit Climate Trace ha messo insieme dati provenienti da 300 satelliti e 11.000 sensori sparsi intorno al pianeta e ha individuato più di 80.000 inquinatori individuali. Il poco invidiabile primato di “migliore inquinatore” va all’industria di estrazione petrolifera: le emissioni dai pozzi misurata dai satelliti è risultata essere il triplo rispetto a quella dichiarata.
I combustibili fossili inquinano quando vengono estratti, trasportati e quando vengono raffinati e utilizzati per produrre plastica tanto da far dire al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres che «le materie plastiche sono combustibile fossile e rappresentano una seria minaccia per i diritti umani, il clima e la biodiversità…Invito [pertanto] i Paesi a superare il concetto di rifiuto e ridurre all’origine il consumo di plastica».
Da queste preliminari ma ben consolidate informazioni si possono anticipare alcune inevitabili conclusioni. La riduzione di emissioni di gas serra può avvenire solo attraverso: 1) una riduzione delle attività estrattive di combustibili fossili; 2) la raccolta e smaltimento dei rifiuti plastici abbandonati nelle discariche; 3) una riduzione della produzione di plastica.
Queste tre operazioni apparentemente in contraddizione tra loro e controproducenti per tanti soggetti della filiera della petrolchimica tradizionale, potrebbero trovare una loro ideale composizione e integrazione attraverso l’adozione di una proposta di Riduzione, Riuso & Riciclo Chimico di materiali plastici e dunque di combustibili fossili.
Queste tre operazioni di fatto potrebbero essere riassunto nell’unica azione che possiamo eufemisticamente battezzare: scartare la terra.
L’attività estrattiva di combustibili fossili ha tra i suoi scopi quello di raffinare il petrolio greggio per ottenere virgin nafta che opportunamente lavorata promuove l’avvio della produzione di plastica. Ma con gli sviluppi tecnologici recenti oggi è possibile ottenere la virgin nafta direttamente dagli scarti plastici che giacciono nelle discariche terrestri e marine.
La raccolta e lo smaltimento dei rifiuti plastici diventerebbe quindi un’attività vantaggiosa proprio per recuperare materia prima ed energia direttamente dai rifiuti sia riutilizzando il rifiuto plastico in un ambito di riciclo meccanico e sia per riavviare un ciclo produttivo grazie al riciclo chimico che risulterebbe svincolato dal “barile di petrolio” e dalla necessità di estrarlo.
La “nuova” plastica verrebbe così prodotta dalla “vecchia” plastica, quella cioè dispersa nell’ambiente e abbandonata in discarica fin dal tempo nel quale Keeling cominciava ad effettuare le prime misurazioni sulla concentrazione di CO2 nell’atmosfera terrestre.
Se vogliamo davvero rallentare il riscaldamento globale non possiamo che fare nostro il motto che abbiamo più volte ripetuto: creare la società nuova dall’involucro della vecchia.
Siamo tutti d’accordo: dobbiamo passare quanto e più è possibile alle fonti rinnovabili; dobbiamo cambiare i nostri modelli di produzione e consumo; dobbiamo piantare più alberi per assorbire CO2 dall’atmosfera.
Ma prima di fare tutto questo occorre indirizzare la volontà e le tecnologie in nostro possesso verso una semplice e banale operazione: scartare la Terra. In poche parole dobbiamo cominciare seriamente a liberare il nostro pianeta da quelle “pellicole” con le quali l’abbiamo avvolto e imballato in questi ultimi 60 anni e lasciarlo finalmente respirare di nuovo.