di asterisco
Altro che levismo e scotellarismo, di cui non si capisce il valore semantico del termine di continuo citato e abusato, categorie linguistiche che non hanno nulla da spartire con lo scrittore Carlo Levi e il poeta Rocco Scotellaro. Sembra che la realtà storica e sociale della Basilicata debba essere interpretata col metterla in diretta correlazione con una delle tante maschere tipiche della tradizione carnevalesca, assai varia e diversa nella penisola italiana.
Si opera un’enorme confusione di contesti in ambiti differenti d’ordine mitologico, antropologico, etnologico e sociale, che ricadono in grossolani e discutibili accostamenti pseudo culturali, generati da una patologia letteraria sui generis che va sotto il nome di saracheddite acuta senescente.
Una fissa e ripetitiva ossessione per un sentore di stalle e di letame, in una foga letteraria di maniera, autocompiacente quasi caratteriale. Sterili e aduse sciorinature…sull’esibitoria del mangiare: le maschere della fame elegiaca della sazietà picaresca, la gioia del pane ai forni dai tepori fragranti, dal filone ottenuto per qualche servizio, alle scodelle di sedano e verze, di patate e ceci, i nostri girovaghi di vicoli e feste… e ancora in una prolissa e stuccosa prosa…una lunga storia di vagabondi e pitocchi che spesso riusciva a muovere il riso come divertimento o buffonata. Un dramma millenario attinto da un copione di fame e stenti. Di qui le lunghe tavole grigie e le loro gozzoviglie, le bandiere di stracci, la corte dei miracoli di stamberghe e sottani. Una moltitudine di infelici sbattuti dal destino sul palcoscenico di un teatro anche crudele. Hanno abitato la città e la campagna, hanno celebrato le cantine, i sensitivi del gusto e del bisogno, con la vorace tensione di deglutire. Queste le maschere del nostro teatro.
Viene da chiedersi se questo valga per congetturare: se gli intellettuali, quelli che si spacciano per tali, smettessero una volta per tutte di ruotare attorno al Levismo e allo Scotellarismo, di rompersi la testa negli anagrammi della falsa poesia e se i nostri commediografi e operatori di teatro avessero il gusto e la capacità, la fantasia di animare una condizione del teatro locale, creando maschere di ambiente, e dell’arte, personaggi e trame ispirate ai fatti del nostro microcosmo, del nostro mondo, anch’esso ricco di spunti e di trovate.
Valutare in senso estetico tali affermazioni ci costringe a sottolinearne l’inconsistenza e il livore subliminale inconscio che li pervade, Siamo nel 2025 e si persevera con siffatti giudizi ma: usque tandem? Leggiamo una volta per tutte Carlo Levi e Rocco Scotellaro abbandonando l’intollerabile epistemologia che si continua a elargire a piene mani!