L’Italia unita anche per il Risorgimento

di Marco Gregnanin

Alcuni intellettuali hanno commentato che l’Unità d’Italia fu un’idea di “unità nazionale” sviluppatasi tra pochi colti che, però, non erano affatto concordi tra loro e che la maggioranza delle popolazioni considerava estranei al loro quotidiano.

Questo divario ideologico portò, in definitiva, ad abbracciare la formula dello Stato unitario accentrato che andava a combaciare con le mire espansionistiche dei Savoia e di pochi altri imprenditori.

E pensare che il marchese Tanucci, massimo esponente del Regno di Napoli e della casa Borbone, aveva capito già prima che diventasse Reggente della casa Reale che era necessario costituire, e non solo nel regno Due Sicilie, delle “metropoli” capaci di bloccare la crescita sproporzionata delle grandi città, come ad esempio Napoli, che si distinguessero per una particolare capacità produttiva e portava ad esempio quella che aveva ipotizzato, nel centro geografico del Regno, in particolare tra Melfi e Venosa, in Basilicata.

Inoltre il Tanucci, con la realizzazione di questo piano urbanistico, riteneva che si sarebbero riequilibrati i rapporti tra città e campagna, tra l’agricoltura e i servizi terziari urbani, demolendo quel divario creatosi tra il potere, che ancora godeva di privilegi feudali, e il resto di tutte le strutture sociali del Regno e più ampiamente di quello che diventerà lo Stato.      

Questa ineluttabile verità non deve, comunque, indurre a credere che il Risorgimento sia stato un “errore storico” o la realizzazione di un male che sic et simpliciter facesse rimpiangere il municipalismo policentrico italiano e la prospettiva federalista che includeva anche il potere temporale pontificio, che avevano ipotizzato Gioberti e Cattaneo.

Invece, dalla distruzione del potere temprale papale ne derivò una maggiore libertà per la Chiesa che aveva riconosciuto il Risorgimento come un segno della Provvidenza.

Occorre ricordare che gli elementi collanti che razionalizzano masse sono la scuola e il servizio militare. Fu proprio il conflitto della prima guerra mondiale che costituì la grande differenza tra gli intellettuali (che avevano fatto l’Italia) e il popolo.

Successivamente, specie dopo il primo conflitto mondiale, a eliminare l’enorme divario che si era creato tra pochi “eletti” e il popolo, divenuto ancora più grande,  se ne incaricò il fascismo ma l’ambizioso progetto finì malamente. Il popolano restò popolano in camicia nera, mentre il “capo popolo” si allontanò ancor più dal popolo, soprattutto a causa dell’arroganza politica, più che ideologica del PNF (Partito Nazionale Fascista). Di conseguenza, secondo alcuni, ne derivò che il popolo si è ordinato e organizzato a seconda dei tempi e degli eventi ad esempio passando da una forma di intervento risorgimentale a una forma resistenziale scoppiata alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Molti studiosi affermarono che se in Italia il Risorgimento del 1848 sia stato una esigenza, avvertita in tutte le città italiane, da Palermo a Milano, è altrettanto vero  che la Resistenza alla dittatura fascista sia stata solo un fenomeno di sinistra.

Pertanto la Resistenza, come il Risorgimento, rappresentano la volontà politica della Nazione Italia, che mai dovrebbe essere attaccata solo per favorire alcuni interessi settoriali. Ma chi ancora pensa di infrangere l’Unità d’Italia è culturalmente consapevole che, qualora si verificasse, si finirebbe per affossare la Nazione in un  “municipalismo” che tende solo a idolatrare il mercato, l’utile e l’egoismo.

L’autonomia ideologica e territoriale che oggi l’Italia cerca di riconquistare nei confronti dell’Europa, che pure lealmente rispetta, è denigrata da certi “colti” personaggi, ideologicamente sinistrati, che cercano riparo sotto, l’ormai rotto  l’ombrello di sinistra, anziché partecipare alla realizzazione di una sempre più forte  identità Nazionale. Oppure improvvisati esperti di economia e diritto che ipotizzano “autonomie economiche” per “sfascio nazionale”.

Io che abito nell’estremo Nord della Nazione frequento e condivido intellettuali di origini meridionali e insieme ci definiamo italiani e quotidianamente “costituiamo” e “demoliamo” governi (anche e soprattutto con l’ausilio di un buon “bianchetto”) ma sempre solo e soltanto nell’interesse dell’Italia.  

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Un commento

  1. Se è vero e credo sia vero ciò che il collega Gregnanin ha scritto si stava meglio nel regno di Napoli che altrove.

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