Ignazio Silone già in gioventù si interessa di problemi politici e sociali che saranno poi i principali motivi ispiratori della sua attività letteraria. Nel 1921 lo troviamo tra i fondatori del partito comunista italiano e per le sue idee politiche fu costretto all’esilio durante la dittatura fascista. In questo periodo volle contrapporre la triste realtà e la miseria delle genti del Sud all’immagine fastosa sbandierata dal regime. All’estero nascono i suoi primi romanzi come Fontamara, Pane e vino, Il seme sotto la neve, che trattano in modo polemico delle misere condizioni in cui versano i contadini abruzzesi. Nel 1934 scrisse un saggio sul regime fascista, intitolato appunto il Fascismo. Nel 1952 scrive il romanzo Una manciata di more e poi dopo Il segreto di Luca. In questi romanzi pur continuando a mettere in evidenza la situazione delle popolazioni agricole del Sud l’autore fa prevalere un’impostazione autobiografica. Dopo la liberazione rientra a Roma ed è per un periodo direttore dell’Avanti. Ha visto attribuirsi il premio Marzotto per il libro Uscita di sicurezza.
Ha detto Barolini: «Un nuovo libro di Ignazio Silone è sempre un avvenimento nella vita letteraria italiana e, probabilmente, non soltanto in quella italiana; egli è uno dei pochi scrittori del nostro paese realmente noti al di là dei confini nazionali. Ma non è questo che importa; bensì il fatto che Silone scrive soltanto per comunicare qualcosa di nuovo e che il suo contributo, almeno per chi, come me, si occupa con quanta più attenzione gli è possibile, degli sviluppi della spiritualità cristiana contemporanea, è sempre meditato, cosciente, penetrante e di lucido e stimolante interesse».
Nei libri di Silone il mondo dei contadini appare in tutta la sua tragedia. È un mondo però che comincia a prendere coscienza della sua forza e allo stesso tempo delle ingiustizie di cui è vittima. La condanna del fascismo si legge in ogni pagina giacché il nuovo regime, è più che evidente, ha trascurato i problemi più gravi come i governi precedenti. Berardo Viola, il protagonista di Fontamara, è preso come il rappresentante di questa umanità che soffre ma che ormai è stanca di soffrire. Egli ha capito che ormai non è più tempo di aspettare con fiducia, è giunto al limite della sopportazione ha capito che ormai è tempo di ribellione, di rivolta. Egli impersona la coscienza civile e sociale che comincia a ridestarsi nelle popolazioni meridionali tenute per troppo tempo in uno stato di sfruttamento. Deve lottare per vincere la rassegnazione, l’ignoranza e anche l’egoismo di quelle comunità relegate per secoli fuori del mondo civile. Alla fine morirà sperando in un mondo migliore, convinto che il suo gesto potrà servire di monito a quelli che si voteranno a lottare per la causa degli umili e dei derelitti. È stato giustamente osservato che la formazione di Silone non è dovuta alla cultura e alla letteratura, ma piuttosto alla sua partecipazione attiva alla sofferenza, alla miseria delle genti del suo Sud. Silone ha conosciuto fin dalla giovinezza il sapore amaro della vita. A 15 anni viene colpito dalla perdita dei genitori e di ben 5 fratelli nel terremoto del 1915 e ciò lo porta a conoscere una dura povertà e poi la tristezza della vita del collegio. Fu anche nel collegio di Don Orione e l’incontro con il personaggio fu di fondamentale importanza sulla vita del futuro scrittore.