Le “corrispondances” di Tim Ingold

Correspondances (Corrispondenze) è il titolo di uno dei componimenti poetici più noti di Charles Baudelaire ed è considerato uno dei manifesti del simbolismo. Questo sonetto fa parte della sezione iniziale delle sei che compongono la prima edizione de I fiori del male (1857) quella senza prologo, senza il famoso invito au-lecteur, che Baudelaire decise di introdurre nella seconda edizione del 1861. Per fortuna Tim Ingold, l’antropologo ( quanto stretta risulta questa definizione!) britannico, nel suo ultimo testo, Corrispondenze (Raffaello Cortina Editore 2021), l’invito – la lettera dal cuore come la chiama lui – lo inserisce subito.

Questo invito fin dal primo rigo ci scuote:

Le idee arrivano quando meno ce lo aspettiamo. Se un pensiero fosse un visitatore atteso dalla nostra mente e arrivasse all’appuntamento bussando, sarebbe veramente un’idea? Per essere un’idea , un pensiero deve disturbare, scuotere, come una raffica di vento che scompiglia un cumulo di foglie. Potremmo anche averla attesa, ma quando arriva è comunque una sorpresa”.

Di questa lettera dal cuore si può dare una lettura…inorganica o organica; razionale o irrazionale, – comunque, in ogni caso, duale – ricorrendo a proprie e personali funzioni valutative (ragione o sentimento) o funzioni percettive (intuizione o sensazione) in una successione di raddoppi e verso un caleidoscopico dedalo infinito di specchi che rafforzano o smorzano “riflessioni” su riflessioni.

Ma come si scoprirà alla fine della  “semplice passeggiata” che vuole essere questo libro, non ci troviamo in un dedalo ma in un labirinto. Secondo Ingold infatti muoversi nel dedalo significa aderire al paradigma assiomatico delle intenzioni e delle scelte: so dove voglio andare, e decido passo passo, in base a un’intenzione predeterminata, quale strada prendere ad ogni incrocio e quale, evidentemente, evitare. Viceversa stare nel labirinto significa lasciarsi guidare dall’attenzione, aprirsi allo stupore di quello che accade e seguire una logica della cura, affinandosi e partecipando.

Nel dedalo, il nostro dedalo che ci siamo costruiti fin qui culturalmente, le intenzioni guidano il percorso, l’azione cioè modella la passione, la decisione (doing) individuale determina la sottomissione (undergoing) al fluire complessivo della vita. Nel labirinto, viceversa, in una logica della cura, la dialettica tra doing e undergoing è ribaltata, per amore di verità e realtà: è il secondo a determinare il primo termine della coppia. Ciò che facciamo sta nel flusso della corrente da cui siamo trasportati.

È inutile sottolineare l’attualità di questo modo di pensare nell’ambito della situazione pandemica dove chiaramente alcuni individui percepiscono se stessi rinchiusi in un dedalo e altri in un labirinto. La vita non può essere subordinata all’agire, piuttosto è l’agire a essere subordinato alla vita.

La filosofia ( o l’antropologia? O la psicologia? O, perché no, la poesia?) di Ingold è una radicale critica “attiva” della idea di cultura nel dedalo. Qui dentro la cultura è un effetto determinato della crescita  e dello sviluppo, della formazione , insomma del processo complessivo nel quale viviamo. Ma in inglese esiste un termine che praticamente indica lo stesso processo di …allevamento che sarebbe più pertinente alla cultura (del) nel labirinto. Il termine è nurture che rimanda immediatamente a nursenursery e dunque al prendersi cura.

La cura precede ed è più importante della cultura.

Quello che dunque Ingold continua a reclamare ed acclamare nel suo lavoro di antropologo (o meglio sarebbe: economo?) è un ritorno all’attenzione: avere cura e essere attenti al mondo, ai suoi processi e alle sue cose non significa relegarle nell’intenzionalità (“Faccio questo perché voglio quest’altro”; “Non mi interessa cosa succede a quello che ho prodotto”). Questo tipo di atteggiamento, l’osservazione partecipata , è una pratica di corrispondenza.

Il pensiero che nasce e si configura in questo modo è una vera e propria arte della cura e del prendersi cura: un’arte del partecipare, del descrivere e dell’agire senza voler controllare o dominare, all’interno di una logica di comunità e di condivisione radicali nella quale l’autonomia individuale è sempre all’interno di un fluire più comprensivo.

Nell’economia delle…linee ( si proprio così: il nostro è anche geometra e architetto), la produzione non deve essere considerata né dal lato della specie umana/uomo né da quello della natura/ambiente; invece è la continua corrispondenza di passioni (undergoings) del pianeta terra e di azioni (doings) della specie umana. Produrre perciò vuol dire corrispondere con cura partecipando alle traiettorie delle vite non umane.

A volte mi domando dove siano stati i filosofi in tutti questi anni. Di recente, alcuni di loro si sono messi a dire – come se fosse una nuova, sorprendente scoperta – che in realtà il mondo non gira intorno agli esseri umani…”- dice Ingold nel suo Invito– “ eppure  al centro di ogni network, troverete sempre un umano. Perché?”. Nello spirito del Professor Ingold (quanto stretta risulta anche questa definizione) lascerò al lettore il piacere della passeggiata per rispondere a questa e ad altre domande, mi limiterò soltanto a concludere ripartendo dall’inizio; dalla famosa poesia di Baudelaire che ha dato il titolo all’opera (tutta!) di Tim Ingold.

Corrispondenze
La Natura è un tempio dove incerte parole
mormorano pilastri che sono vivi,
una foresta di simboli che l’uomo
attraversa nel raggio dei loro sguardi familiari.

Come echi che a lungo e da lontano
tendono a un’unità profonda e buia
grande come le tenebre o la luce
i suoni rispondono ai color, i colori ai profumi.

Profumi freschi come la pelle di un bambino,
vellutati come l’oboe e verdi come i prati,
altri di una corrotta, trionfante ricchezza

che tende a propagarsi senza fine – così
l’ambra e il muschio, l’incenso e il benzoino
a commentare le dolcezze estreme dello spirito e dei sensi.

Giuseppe Ferrara
Giuseppe Ferrara
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