Una regola primaria nei rapporti umani dovrebbe essere il rispetto reciproco della persona sia che si usi il linguaggio verbale che figurato. Nell’informazione giornalistica invece è divenuta una consuetudine, alla quale nessuno si sottrae, lo sparare cazzate con divertimento delle vittime e dei carnefici e una specularità tale che nelle cronache politiche sembra l’unica ortodossia possibile.
Dire e poi ridire, affermare e ribadire, porgere le scuse, avere una memoria corta, soltanto maschere che servono ad amplificare tutto senza una prospettiva valida e sottrarsi così a un senso di responsabilità, che tra persone civili, attori o cronisti, che si occupino della cosa pubblica dovrebbe avere un alto livello morale come requisito di base.
Li accomuna invece una pervicace pusillanimità che il più delle volte sconfina nell’ipocrisia, si minacciano querele, si riempiono le aule giudiziarie (con vantaggi però di chi economicamente ne ha le possibilità) e via discorrendo. Ci sia allora consentita l’assurdità: non era più dignitoso sfidarsi a duello con tanto di padrini come s’usava un tempo? Ecco l’importanza della maschera sia essa politica o giornalistica. Forse solo per supplire alla mancanza di attributi che, data la sacrosanta parità di genere, è oramai desueta!