Interpretare un’opera d’arte, una poesia, un testo letterale rientra nel normale e consueto esercizio che un individuo compie secondo le proprie conoscenze. Interpretare, invece, una norma giuridica non significa “libera interpretazione”, ma uso dell’intelletto da parte di colui che è chiamato ad applicare e far osservare una norma giuridica.
Questo particolare esercizio consiste nella capacità di ricerca del giusto significato e valore della norma medesima, secondo dei criteri volti a ricostruire il significato di precetto espresso nella norma, la volontà del legislatore. Essi sono indicati nell’art. 12, primo comma, delle Preleggi del codice civile per cui “Nell’applicare la legge non si può attribuire ad essa altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse (elemento letterale o lessicale o filologico o grammaticale) e dall’intenzione del legislatore (elemento logico).
Per intenzione del legislatore s’intende lo spirito, la ragion d’essere (ratio legis) della norma, la finalità sociale a cui è diretta e non le circostanze contingenti che provocarono, illo tempore, l’emanazione della norma (cosiddetta “occasio legis”).
Sotto tale profilo hanno valore, ma non decisivo, i lavori preparatori della norma per cui si è soliti paragonare la legge al frutto che, staccatosi dall’albero, assume entità propria, distinta dall’albero stesso che l’ha prodotto, cosicché talora può essere attribuita alla norma un significato diverso da quello che le attribuiscono le persone che la elaborano, sempre che, naturalmente, a tale risultato conduca l’attento impiego dei criteri della interpretazione.
L’ordinamento giuridico è costituito da tante norme collegate tra loro tanto da acquisire un ruolo storico-sistematico poiché l’interprete deve farsi carico di inquadrare la norma nei principi che regolano la materia creando l’ “elemento sistematico”, ma deve anche motivare le ragioni per cui il legislatore ha inteso trattare quell’argomento in quel modo, facendo emergere l’”elemento storico”.
Posta questa premessa, è ovvio che i vari metodi d’interpretazione non sono più validi come ad esempio il metodo “storico-evolutivo” in cui, i suoi sostenitori dicono che sia possibile attribuire alla norma anche un significato diverso dall’originario poiché occorre adeguarsi, volta per volta, alle esigenze della vita sociale.
Invece coloro i quali condividono la “giurisprudenza degli interessi” suggeriscono all’interprete di considerare solo gli aspetti pratici della norma che deve appagare le necessità senza restare nei limiti “imposti” dalla volontà del legislatore.
Di conseguenza, queste visioni, alla fine, portano ad interpretazioni molto soggettive e quindi ad un “libero arbitrio” che un giudice può esercitare arrivando, addirittura, ad interpretarla con un significato lontano anche da quello letterario oltre che giuridico.
Tuttavia molte volte accade che in assenza di una disciplina ben precisa di una materia o di un caso, l’interprete possa ricorra all’applicazione del principio dell’analogia ovvero un procedimento mediante il quale vengono applicate le norme previste per casi simili o materie analoghe.
A questo punto mi sembra giusto che il popolo “interpreti” l’arroganza e la “imbecillità” della politica quando questa si arroga il diritto-dovere di invocare una norma secondo un “libero arbitrio” che fa comodo al suo protettore di partito (che sia esso di maggioranza o di opposizione).