di Perdicca Pepareto
Nelle folte faggete dell’Appennino Lucano, tra gli ululoni dal ventre giallo e salamandre maculate che zigzagano dopo un temporale, si aggira una figura mitologica che governa il parco con il piglio di un “sileno saltellante nelle selve lucane”. È un novello dio Pan che, con un approccio che mescola visioni manageriali e nostalgiche incursioni pastorali, sembra incarnare l’ambizione del “centauro zampettante” più che quella di un solido amministratore pubblico.
Tra i sindaci dei comuni lucani si consuma una bizzarra disputa: chi possiederà la chiave della “porta del parco”? Un teatro dell’assurdo degno del miglior Pirandello, dove ognuno lotta per una fetta di gloria amministrativa e qualche finanziamento europeo. Nel frattempo il nostro dio Pan osserva dall’alto, apparentemente intento a suonare un flauto magico fatto di protocolli d’intesa e progetti sostenibili, lasciando che la “querelle delle porte” proceda tra prosciutti stagionati e anfibi urticanti.
Questa gestione, lungi dal portare sinergie reali, ha fatto fiorire “carrozzoni finanziari” alimentati da logiche di lobby più che da strategie verdi. Le porte d’ingresso, in questa commedia surreale, non servono ad accedere al parco, ma a entrare nel labirinto delle concessioni, dove tutto si disperde in un eterno rimpallo burocratico.
Il centauro zampettante, maestro del compromesso, sembra avere una priorità: la tutela di un parco che, almeno sulla carta, dovrebbe essere un gioiello naturalistico. Ma mentre le salamandre si affrettano a trovare rifugio e gli ululoni lanciano richiami melodiosi, le piste forestali diventano il regno di improbabili “Indiana Jones della domenica” a bordo di Suv superaccessoriati.
Le sorgenti? Ridotte a pozzanghere, simbolo di un abbandono che contrasta con l’entusiasmo di brochure patinate. Le ippovie? Tratturi alla mercé di improvvisati esploratori. E la pastorizia, antica arte che per secoli ha custodito il paesaggio? Praticamente scomparsa, schiacciata da regole solo apparenti e da una gestione che appare più interessata ai titoli di giornale che alla sostanza.
Non mancano, certo, i proclami di sostenibilità. Il novello dio Pan si fregia di progetti anti-incendio, iniziative educative e collaborazioni con comitati locali. Tutto molto bello se non fosse che, nella pratica, chi si avventura nel parco avverte un senso di trascuratezza quasi poetico, come se la natura fosse lasciata a se stessa per scelta strategica più che per negligenza.
Eppure, il “sileno saltellante” non si fa mancare nulla: dialogo, trasparenza e perfino la promessa di un futuro migliore. Come un centauro che trotta tra le valli dispensa promesse a cittadini e associazioni, mentre il parco, quello reale, resta un regno di confusione.
Forse l’unica vera lezione di questa gestione è quella impartita dall’ululone dal ventre giallo, simbolo suo malgrado di un parco che vive tra due mondi: quello ideale, fatto di piani strategici e annunci roboanti, e quello reale, dove la natura si difende con i propri mezzi. Sarebbe quasi auspicabile che gli ululoni, con il loro secreto velenoso, ricordassero ai novelli Pan e ai loro seguaci che la natura, quando troppo trascurata, sa anche ribellarsi. Il regno del novello dio Pan, tra flauti magici e scorribande in Suv, sembra sospeso tra ambizione e farsa. Un parco che potrebbe essere un modello di sviluppo sostenibile è, invece, un teatro di contraddizioni dove la natura, per quanto resiliente, sembra sempre più vittima di proclami vuoti e gestioni a intermittenza. E il centauro zampettante? Trotta ancora, ma per quanto tempo riuscirà a convincere tutti che il suo regno è un paradiso ecologico?