di Rocco Sabia
La lingua italiana contiene molteplici realtà, una diversa dall’altra. In essa c’è la lingua di Dante, quella del Manzoni, del Moravia, c’è l’italiano “romanesco”, quello “meneghino” o quello “napoletano” e, a volerla dire tutta, c’è l’italiano di tutti i “campanili d’Italia”. Ma come se non bastasse, questa meravigliosa lingua, oltre le diversità territoriali ha anche le varianti che sono: la lingua familiare (spesso licenziosa), quella burocratese (spesso contraddittoria) e spesso si adopera anche il gergo scientifico (quasi sempre in modo approssimativo), per non dire di quello politico, giornalistico e radiotelevisivo che ormai è diventato il linguaggio dei volgari e degli “ignoranti”.
Naturalmente ogni variazione si palesa secondo il grado di istruzione, della classe sociale di chi parla, dell’interlocutore che ascolta e del momento in cui viene espressa.
Ma dell’italiano, quello che dovremmo conoscere per studio, quello che dovrebbe, attraverso l’uso della grammatica e della sintassi, riunire gli intenti omologhi e comprensibili chi lo parla? Purtroppo, in questo momento, l’italiano corretto è parlato solo da una ristrettissima cerchia di studiosi anche se la diffusione della lingua è apparentemente aumentata grazie all’uso del mezzo stampa e dei mezzi di comunicazione di massa che certamente hanno reso più facile la produzione e la divulgazione di testi ma non della qualità.
La lingua italiana si è certamente “evoluta”, principalmente seguendo canoni utilitaristici e “popolani” che, però, hanno sempre più allontanato la lingua letteraria da quella parlata. La lingua letteraria, da sempre orientata verso il lessico fiorentino prendendo insegnamento dal Manzoni soprattutto quando indicava, a chi volesse parlare o scrivere il corretto italiano, di «lavare i propri panni in Arno». La lingua parlata (essenzialmente quella popolare), invece, è orientata verso il lessico dei più vari orientamenti regionali intendendo la lingua italiana un diritto di tutti proprio perché ufficiale. Ma questa è un’analisi semplicistica perché in verità la lingua ha preso un percorso diverso diventando davvero l’”italiano di tutti”, perché da quella letteraria ha preso la struttura, dalla seconda ha preso il lessico che fusi insieme hanno dato vita a una grammatica più “agevole”, una sintassi più “facile” e l’uso di un vocabolario più ristretto.
Dal “moderno italiano” è quasi scomparso il congiuntivo, il passato remoto, addirittura il linguaggio disegnato (faccine, manine e altro) pur non rispondendo a nessuna regola grammaticale prevale anche il significato delle parole.
È grottesco ma vergognosamente vero che qualche noto scrittore usa in modo del tutto arbitrario il “vocabolo”, ad esempio, sciorinare per indicare l’analizzare di un testo, oppure scrivere pulciare credendo di esprimere scartabellare. Questi esempi ampliano smisuratamente l’ammissione di questi “errori” che diventa difficile distinguere ciò che è la lingua italiana da ciò che è il parlato dell’”ignorante”. Queste considerazioni certamente diventano o rischiano di diventare il prontuario dei dubbi e degli errori grammaticali.
Riappropriarsi della capacità del bel scrivere e della bella lettura deve significare “studio scientifico” fondato sul ragionamento che tende a una sempre più vasta conoscenza.
È innegabile che ogni lingua, di ogni paese, è influenzata da altre lingue ed è qui che deve intervenire il buon senso dell’intellettuale che dovrebbe avere la capacità di mediare e non come spesso accade oggi questi emulano il personaggio in vista, il pluritatuato televisivo che il più delle volte sa esprimersi solo volgarmente o scurrilmente.
Da considerare eccezione, anche se eccezione non è, è quello di valutare il neologismo soprattutto quando questo è necessario per una migliore comprensione di un concetto o discorso.
Forse è il caso di affidare alla “speranza” o alla “buona sorte” la salvezza della lingua italiana quando questa, per nostra sfortuna, entra nelle grinfie di ameni scrittori-poeti, che esprimono un italiano mai esistito e che solo i più colti eroicamente salveranno anche a rischio di non essere capiti perché si ricordi bene che l’ignorante è un arrogante e che lo scrittore ignorante è un presuntuoso arrogante e assassino della lingua che le case editrici, quelle serie, dovrebbero allontanare dalla “penna”.
Ahimè questi in tal caso fanno gli indiani e si arruolano sui social per continuare a collocare parole sconnesse e dita di approvazione impropriamente indicanti il consenso o meno delle “vanverate espresse”.