È una consolidata abitudine al giorno d’oggi che sui maggiori organi d’informazione venga data un’insolita visibilità ad argomenti che a dispetto del buon senso, più rasentano in maniera esponenziale la stupidità umana e più vengono amplificati mascherandoli con citazioni prese da una sterminata letteratura in proposito ma non sempre ligia ad un rigoroso sapere scientifico. Conosciamo bene la facilità con cui si trovi all’occorrenza l’esperto di turno e la letteratura d’oltre oceano che ne possa fare da cornice accattivante!
Ci riferiamo alla recente notizia sull’esame a cui, una rinomata associazione di cardiologi statunitensi, ha sottoposto ben dieci diverse tipologie dietetiche dalle denominazioni a livello linguistico a dir poco strampalate: mediterranea, dash, cronodieta, dieta mima digiuno, paleolitica, dissociata, dieta zona, weight watchers, chetogenica, Atkins, Plank (sic) ed incongruenti se riferite alla loro semantica da un punto di vista scientifico, assai più consono a un interesse essenzialmente consumistico, promuovendone solo alcune tra cui quella mediterranea che per definizione non ha alcun significato storico proprio. Un termine coniato da un gruppo di ricercatori americani in una ricerca statistica a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta sull’alimentazione dei popoli mediterranei e relative patologie riscontrate.
Se consideriamo l’etimologia di base del termine dieta inteso come giusto modo di vivere, questo può considerarsi analogo al termine gastronomia in particolare se riferiti all’alimentazione umana. Già nel 1732 il medico e chimico olandese Hermann Boerhaave nell’opera Elementa Chemiae definiva la gastronomia un’arte che è per coloro i quali stanno bene, ciò che la medicina è per i malati…è però vero che la chimica può esserle di un grande aiuto. Oggi invece c’è un abnorme abuso nelle prescrizioni dietetiche da parte di categorie di esperti nella più totale ignoranza delle conoscenze chimiche fondamentali riguardo alle sostanze che compongono gli alimenti, come queste siano metabolizzate dall’organismo ed i possibili effetti collaterali da non sottovalutare. Esempio marchiano sono i tanti prodotti sul mercato che provengono da una filiera di laboratorio essenzialmente industriale, con enormi profitti per le multinazionali che operano nel settore, che sfruttano all’inverosimile una pubblicità infingarda ed ambigua. In gioco è la nostra salute che andrebbe difesa e tutelata in maniera capillare, invece si assiste ad una sistematica opera di disinformazione, nascondendosi dietro le leggi dell’economia a cui è asservita una tecnologia applicata in modo erroneo e che ha poco da spartire con la vera ricerca scientifica nel risolvere i problemi anziché crearne, e questa volta ci si perdoni il bisticcio, scientemente altri!